La tecnologia che lega la presenza di nuclidi radioattivi nelle lampade di uso comune è nata successivamente alla produzione delle lampade meglio conosciute come a “basso consumo”. Queste lampade, alla fine degli anni '80, avevano il lungimirante scopo di sostituire le lampade ad incandescenza (poi bandite nel 2012), le lampade alogene e tutte quelle che determinavano costi e consumi contrari ai criteri di risparmio e austerità.
E le prime lampade a basso consumo (o fluorescenti) erano in pratica molto simili ai conosciuti tubi al neon ma sviluppate in varie forme (circolari, ecc.) e con la promessa di consumare pochi watt in cambio di restituire una luminosità pari alle lampade ad incandescenza 10 volte più “wattate”, oltre ad una durata di alcune decine di magliaia di ore di funzionamento. A conti fatti, il risparmio era assicurato e dimostrabile.
Ma c’era il risvolto della medaglia: in alcuni casi occorreva sostituire il portalampade perché le lampadine erano troppo voluminose oltre che molto pesanti a causa della molteplice componentistica contenuta nel corpo della lampada stessa; a questo si aggiungeva il costo iniziale di acquisto che comunque era sempre cospicuo (in genere da 5 a 10 volte il costo di una normale lampadina).
Ma ciò che aveva decretato un iniziale fallimento di questa tecnologia era il funzionamento di queste lampade: una volta premuto l’interruttore si accendeva una luce molto fioca (tipo lampade votive del cimitero) che raggiungeva l’apice in circa un minuto (dipendentemente dal Wattaggio della lampada): chi si lamentava raccontava che andando in cucina di notte per bere un bicchiere d’acqua aveva più luminosità dalla luce del frigorifero che da quella delle portentose e costo se lampade. Il mercato penalizzò molto questi prodotti al punto che sembravano non interessare più. Ecco allora l’idea di tenere in sovraeccitazione le molecole di gas contenute nei piccolo tubi: questo gas colpendo la “pasta” depositata sulle pareti del tubo, determinava il fenomeno della fluorescenza e restituiva la luminosità promessa. Se anziché muoversi con un valore di energia minimo (le molecole di gas) si mantenevano costantemente a valori superiori, si poteva ottenere la massima luminosità in tempi inferiori.
Ecco quindi l’idea di inserire delle piccole ampolle contenenti qualche centinaio di Becquerel di 85Kr, un gas nobile radioattivo con una emivita di circa 10 anni e energia di decadimento massima di particelle beta da 687 keV e un'energia media di 251 keV. Queste ampolle venivano già impiegate negli starter delle lampade al neon.
La tecnologia funzionava!! Le lampade si accendevano e davano la massima luminosità in tempi molto più rapidi che in passato e presto il mercato ha premiato questa idea che era riuscita a migliorare la vita quotidiana di tutti.
I valori di dose di radiazione all’esterno delle lampade sono sempre risultati assenti: sia il vetro delle ampolle che il corpo della lampada erano più che sufficienti per schermare completamente le radiazioni emesse dal nuclide. Anche se si possedeva una intera scatola di sole ampolle, la dose totale emergente non era distinguibile dal fondo naturale. Anche i rischi in caso di rottura erano molto contenut, sia perché si trattava di un gas nobile (chimicamente inerte e quindi incapace di creare legami molecolari), sia perché la sua forma fisica (gas) impediva qualsiasi tipo di accumulo. La sola ventilazione naturale avrebbe disperso il gas eventualmente fuoriuscito dall'ampolla.
Con l’avvento della tecnologia LED queste lampade sono andate scomparendo e sono attualmente solo oggetto di culto per i musei legati alla produzione di corpi luminosi. E per il nostro museo della radioattività.
Ma ancora oggi diversi starter per le lampade al neon possono contenere un simile componente (con valori di attività ancora più bassi e quindi sempre meno pericolosi): una dimostrazione della loro possibile presenza? Entrate in una stanza dove ci sono queste lampade... anche al buio (senza accendere la luce) vedrete dei bagliori provenienti dalla lampada stessa. Ciò è dovuta al fatto che qualche molecola di gas neon a bassa pressione possiede un'eccitazione superiore al suo valore di base e colpisce le pareti dove è depositata la “pasta” luminosa determinandone il bagliore.