Fisico e accademico italiano. Operò principalmente come teorico della fisica all'interno dei "ragazzi di via Panisperna"
“Mi piacciono le scelte radicali: la morte consapevole che si autoimpose Socrate, la scomparsa misteriosa e unica di Majorana”. Cantava così Franco Battiato nel 1992, omaggiando uno dei suoi concittadini più illustri e affascinanti.
Dopo aver soggiornato a Lipsia e Copenaghen, Ettore MAJORANA rientrò a Roma, ma non frequentò più l'Istituto di fisica, dove faceva parte del gruppo dei "ragazzi di via Panisperna", lì, dove lo chiamavano il Grande Inquisitore a causa del suo spirito critico.
Ecco il ritratto che ne dà, in quel periodo, Laura Fermi: «Majorana aveva però un carattere strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell'andare in tram all'Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un'idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all'Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea.»
Si racconta che quando, a fine 1931, Frédéric Joliot e Irène Curie bombardarono il nucleo con particelle alfa e ottennero righe spettrali che non sapevano interpretare, Ettore Majorana commentò: «Guarda che sciocchi, hanno scoperto il protone neutro e non se ne sono accorti …».
Ettore Majorana, catanese, classe 1906, penultimo di cinque fratelli, figlio di Fabio Massimo Majorana e da Dorina Corso, antica e prestigiosa famiglia nobiliare originaria di Militello in Val di Catania, fisico teorico di spessore eccezionale, abilissimo calcolatore, genio enigmatico e imperscrutabile, scomparve improvvisamente nel marzo 1938, a trentadue anni. Fu visto per l'ultima volta a bordo di un piroscafo partito da Palermo e diretto a Napoli: da allora, più nulla.
La sera del 25 marzo 1938, a 31 anni, in un periodo in cui tutto il gruppo di fisici di Via Panisperna si stava disperdendo ognuno con i propri incarichi in Italia o all'estero e circa un anno e mezzo prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Ettore Majorana partì da Napoli, ove risiedeva all'albergo "Bologna" in via Depretis 72, con un piroscafo della Tirrenia alla volta di Palermo, ove si fermò un paio di giorni alloggiando al "Grand Hotel Sole": il viaggio gli era stato consigliato dai suoi più stretti amici, che lo avevano invitato a prendersi un periodo di riposo.
Ai familiari scrisse: «Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all'uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi.»
A gennaio del 1938 Majorana aveva chiesto di prelevare dalla banca i suoi soldi, e qualche giorno prima del 25 marzo aveva ritirato 5 stipendi arretrati, che fino a quel momento son si era preoccupato di riscuotere. Il suo passaporto non fu mai trovato.
S'iniziarono le ricerche. Delle indagini si occupò il capo della polizia Arturo Bocchini. Del caso si interessò lo stesso Mussolini che ricevette una "supplica" della madre di Majorana e una lettera di Enrico Fermi; sulla copertina del fascicolo in questione scrisse: voglio che si trovi. E Bocchini, evidentemente, per alcuni indizi poco incline all'ipotesi del suicidio, aggiunse di sua mano: i morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire. Fu anche proposta una ricompensa di 30000 lire per chi ne desse notizie, ma non si seppe mai più nulla di lui, almeno non in modo inequivocabile.
C'è voluto più di mezzo secolo perché si diradassero le nebbie che finora avvolgevano il suo destino: ora sappiamo con ragionevole certezza che Majorana non si gettò nelle acque del mar Tirreno. Nel periodo 1955-1959 era vivo. E si trovava volontariamente nella città di Valencia, in Venezuela.
Cosi lo ha stabilito la procura di Roma, archiviando un fascicolo aperto nel 2011 per riprendere le indagini sulla scomparsa dello scienziato.
I Ris hanno analizzato una foto scattata in Venezuela il 12 giugno 1955, che ritrae un certo signor Bini, emigrato italiano, vicino a uno sportello di cambiavalute: “I risultati ottenuti dalla comparazione”, dicono gli esperti, “del viso di Bini con quello di Ettore Majorana e con quello del padre dello scienziato, Fabio Majorana, quando aveva la stessa età del figlio, hanno portato alla perfetta sovrapponibilità delle immagini di Fabio e di Bini-Majorana, addirittura nei singoli particolari anatomici quali la fronte, il naso, gli zigomi, il mento e le orecchie, queste ultime anche nella inclinazione rispetto al cranio”.
La testimonianza di Francesco Fasani, per esempio, un meccanico che ha raccontato agli inquirenti di aver conosciuto Bini a Valencia nel 1955: “Un uomo di mezza età, con cui non entrai mai in intimità stante una esasperata riservatezza, continuando a chiamarlo sempre 'signor Bini' e senza mai apprendere il suo nome di battesimo”. Fasani ha spiegato di essersi occupato spesso della manutenzione dell'autovettura di Bini, “una StudeBaker di colore giallo sempre ingombra di appunti e di carte”, e ha sottolineato quanto Bini fosse refrattario a farsi fotografare.
Gli è stato dedicato un asteroide, 29428 Ettoremajorana
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