Fisico e accademico italiano, vincitore nel 1959 del Premio Nobel per la scoperta dell’antiprotone.
Per Emilio Gino Segrè, la sua passione per la fisica fu evidente fin dall'infanzia.
Nato a Tivoli da famiglia ebrea, Segrè scrisse ad appena sette anni un libricino intitolato “Appunti di fisica”. Da adolescente continuò poi a leggere testi sull’argomento, trovati in casa o regalati da parenti e amici.
Da ragazzo Emilio si sentiva amato da sua mamma Amelia, mentre percepiva come lontana la figura del padre, impegnato a tempo pieno nella sua attività industriale. A causa della grande differenza d’età, non aveva un buon rapporto anche con i suoi due fratelli Angelo e Marco.
Dell’università, Emilio ricorda che le lezioni di Volterra erano fatte con una vocina tenue e nasale che tendeva a provocare il sonno. Poiché non c’era un libro di testo da seguire e bisognava prendere appunti, Segrè incaricava Amaldi di prenderli e di svegliarlo se si addormentava.
All’età di 22 anni, nel 1927, Emilio ebbe in regalo, dalla madre, una Fiat 509 e, poiché in quell’epoca a Roma le automobili erano poche, dai colleghi di corso egli era considerato uno studente ricco. Il possesso dell’automobile probabilmente cambiò il corso della sua vita, infatti, ora era molto più facile organizzare gite in montagna, che erano la sua grande passione. Nell’occasione di una gita sul Gran Sasso, organizzata insieme a Giovanni Enriques, questi invitò Franco Rasetti. I due divennero ben presto molto legati, ed erano soliti dedicarsi ad allegre passeggiate in montagna, durante le quali discorrevano di fisica per il semplice gusto di farlo e subito gli propose di andare a Como e partecipare a un importante congresso di fisica in onore dei cento anni dalla nascita di Alessandro Volta, al quale partecipavano le più grandi personalità scientifiche degli anni Venti. In quell’occasione, il giovane Emilio si sentì come un bambino in un parco giochi.
L’emozione fu tale che Segrè decise di lasciare l’università d’ingegneria per diventare studente di fisica. Spinto da Rasetti, e grazie all’intervento di Orso Mario Corbino, direttore dell’Istituto di fisica a Roma, Segrè divenne il primo studente di Enrico Fermi.
Da lì a diventare uno dei celebri “ragazzi di via Panisperna” fu un passo brevissimo. Tra di loro si divertivano ad attribuirsi dei soprannomi scherzosi, ed Emilio Segrè era per tutti «il Prefetto delle Biblioteche» perché si interessava della biblioteca universitaria e conosceva la letteratura, ma era anche «il Basilisco» perché nei momenti di arrabbiatura era in grado di “incenerire” con un solo sguardo, come l'omonimo rettile mitologico.
Nel 1936, nella Grande Sinagoga di Roma sposò Elfriede Spiro, originaria della Prussia Orientale, ebrea tedesca, e hanno avuto tre figli: Claudio, Amelia e Fausta.
Durante un viaggio in treno fra New York e la California, Segrè apprese dai giornali che in Italia il Governo Fascista aveva cominciato a promulgare le leggi raziali. Scrisse alla moglie di chiudere casa e di raggiungerlo a Berkeley con il loro primo figlio, Claudio, che non aveva ancora due anni.
La notizia della morte della madre, vittima di un rastrellamento nazista nel giugno del 1944, gli venne data dallo stesso Oppenheimer, il direttore del progetto Manhattan.
Pochi mesi dopo, a ottobre di quell’anno, morì anche suo padre. Segrè, che quindi non poté mai più rivedere i suoi genitori, non si perse d’animo e anzi continuò a lavorare con rinnovato vigore al progetto per fermare i nazisti.
Nell’estate del 1947, dopo nove anni da quando aveva lasciato l’Italia, Emilio Segrè, ormai cittadino degli Stati Uniti, decise di tornare a Tivoli per seguire insieme ai suoi due fratelli gli affari di famiglia. Però, non avendo raggiunto un accordo, la Cartiere Tiburtine, che era stata l’orgoglio di suo padre, fu venduta ad un gruppo industriale finlandese.
Trovandosi a New York dopo aver ricevuto il premio Nobel, aveva avuto la folle idea di incontrare Salvador Dalì, il famoso pittore surrealista che all’epoca abitava in quella città americana. Il pittore accettò con piacere e si presentò all’appuntamento vestito in modo bizzarro, con i baffetti all’insù e con un bastoncino. Anche Segrè, dal canto suo, gli riservò un’accoglienza “surrealista”: sorprese Dalí spuntando all’improvviso da dietro una colonna.
La cena fu, se possibile, singolare: l’artista gli raccontò di aver dipinto nel 1956 una “Anti-protonic Assumpta” (un olio su tela adesso conservato al museo d’arte moderna di Fukushima, in Giappone), nel senso che solo l’annichilazione della materia poteva mandare in cielo una donna. Ma Emilio non lo considerò un folle, perché anche lui era spinto nelle sue ricerche dalla stessa curiosità. D’altra parte lo scienziato italiano era così: affrontava tutto con l’entusiasmo di un bambino e con una grande voglia di divertirsi.
Nel 1970 torna in Italia insieme alla moglie Elfriede, per una serie di conferenze. Completati i suoi impegni si fermarono per qualche giorno a Firenze, dove pensavano di potersi trasferire dopo la pensione. Prima di tornare a Roma andarono a visitare la casa di Leopardi a Recanati e poi si fermarono a Teramo per dormire. Durante la notte la moglie morì nel sonno.
Tornato a Lafayette, in California, dopo due anni dalla morte della moglie, nel 1972 Segrè si sposò di nuovo, a sessantasette anni, con Rosa Mines, un’amica uruguaiana molto affettuosa e molto più giovane di lui, che aveva conosciuto a Montevideo.
Il 22 aprile del 1989, dopo il solito pisolino pomeridiano, Emilio chiese alla moglie di fare insieme una passeggiata in una stradina di campagna vicino a casa. Si mise le scarpe da tennis e cominciarono a camminare lentamente parlando delle varie cose della giornata. Però, dopo pochi minuti, disse alla moglie di fermarsi. Le mise le mani sulle spalle come per sostenersi. Lei sentiva aumentare sempre di più il peso del marito, che tendeva a farla cadere.
Emilio Segrè era morto.
In suo onore, è stato nominato l’asteroide 385980 Emilio Segrè
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