Solo dopo il 1656 i più fortunati (o ricchi) possedevano un orologio.
Ma anche l'orologio dell'epoca livellava la ricchezza e la povertà: Al buio nessuno vedeva l'ora.
Fu solo nel periodo bellico che si comprese l'importanza di poter vedere i quadranti degli strumenti e quindi anche degli orologi, anche in assenza di luce.
Fu proprio un italiano (Panerai) a brevettare l'uso dei nuclidi radioattivi sulle lancette e sui numeri degli orologi.
Quando poi l'orologio divenne oggetto comune, era uso (e desiderio) dei bambini degli anni 60, ricevere come regalo per la Cresima, un "orologio che si vedeva di notte".
E da bambini, aspettavamo svegli l'arrivo delle tenebre per vedere che effettivamente l'orologio ci faceva vedere l'ora corrente.
Fino agli anni 90, in Italia, esistevano leggi che regolamentavano la quantità di radioattività che poteva trovarsi sugli orologi.
E sugli orologi, si è passati dall'uso del Radio 226 al Trizio (H3).
Dopo Chernobyl, questi orologi si possono trovare (e molti vanno espressamente a cercarli) solo sulle bancarelle dei mercatini dell'antiquariato.
Tutti gli orologi con materiale radioattivo hanno la cassa in acciaio e i valori di dose misurabili sulla cassa (e quindi a contatto del polso di una persona) non sono distinguibili dal fondo naturale.
Sul vetro, diversamente si possono misurare ratei di dose fino ad alcuni microSv/h.