Un cuore al plutonio

Le malattie cardiache hanno interessato per moltissime e diverse ragioni una molteplicità di individui nel mondo: tra queste, le aritmie investono tutt’ora una percentuale molto alta di popolazione.
Nel corso degli anni molti studi e sviluppi si sono succeduti per il miglioramento dei dispositivi impiantabili nel corpo umano. Intorno alla metà del secolo scorso (tra il 1950 e il 1960) è stato inventato il primo pacemaker: un dispositivo impiantabile che interviene, in caso di aritmie cardiache, nella regolazione dei battiti del cuore inviando ad esso impulsi elettrici.
Il pacemaker cardiaco è un dispositivo usato in casi patologici in cui il cuore presenta aritmie cardiache. E' uno stimolatore elettrico a basso consumo di corrente che produce impulsi elettrici periodici che vengono trasmessi al cuore . Gli impulsi sono i responsabili delle contrazioni dei muscoli del cuore.
I pacemaker consentono ai pazienti di tenere una certa frequenza cardiaca. 
Il pacemaker deve essere alimentato costantemente e un importante e fondamentale elemento per la funzionalità del pacemaker è il suo sistema di alimentazione, che può essere di diversi tipi: Il primo tipo di sistemi sviluppato è a batteria. 
Ma è intuibile che non è possibile ipotizzare di sottoporre un paziente a periodici interventi chirurgici per la sostituzione della batteria.
Negli anni 70 si sperimentò l'utilizzo di batterie nucleari. Esse usavano il plutonio-238: in dieci anni spendevano solamente l'11% della loro totale capacità. L'inconveniente non trascurabile per questo tipo di batterie era la loro alta tossicità: 1 μg nel sangue è fatale. In secondo luogo, i pacemaker a batterie nucleari erano molto grandi, creavano problemi nei viaggi attraverso vari Paesi per il loro contenuto radioattivo. Inoltre, dopo la morte del paziente, dovevano essere rimossi dal corpo. Il loro uso, di conseguenza, venne abbandonato.
La batteria al Plutonio risulta radioattiva ed ogni grammo produce 0.568W di energia per svariati decenni. Esistono ancora casi di pazienti con dispositivi del genere impiantati che funzionano dopo oltre 40 anni. Una versione al litio in genere dura dai 10 ai 15 anni. Esistono anche casi dove il dispositivo continuava a funzionare anche dopo la morte del paziente, non una sorpresa se si considera che il Pu-238 ha un tempo di dimezzamento di circa 88 anni, superando l’aspettativa di vita media dei paesi più longevi al mondo.
Fu il cardiologo Victor Parsonnett nel 1960 a proporre all’Atomic Energy Commission la realizzazione di piccole pile atomiche che potessero alimentare i pacemaker per almeno 10 anni. La tecnologia dei pacemaker si fondava sul principio della generazione termoelettrica dell’energia elettrica con il calore sviluppato dal Plutonio-238. Questa tecnologia semplice ed efficace è alla base del Radioisotope Thermoelectric Generator, indispensabile per fornire energia elettrica ai satelliti artificiali in missione nello spazio profondo. L’Atomic Energy Commission, forte della sua esperienza con il generatore termoelettrico SNAP 15 al Pu-238 impiegato come fonte energetica di lunga durata nelle boe oceaniche, decise di accettare la proposta di Parsonnet. Il primo impianto al mondo fu realizzato in Francia da Laurens e collaboratori che utilizzarono un pacemaker atomico Medtronic. 

Fonti:
- Piera Salvoro -  SISTEMI DI ALIMENTAZIONE PER PACEMAKER – tesi di laurea Università di Padova – 2013.
- https://steemit.com/medicina/@gabriele-gio/gli-iron-man-del-passato-